IL REATO DI RICICLAGGIO E L’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE



Nel codice penale è stato aggiunto in tempi recenti l’articolo 648 ter, il quale punisce chiunque impieghi in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.

Trattandosi di reato "giovane", la giurisprudenza è impegnata a circoscriverne o ampliarne l’applicazione, interpretando il testo letterale della norma.

Ad esempio, il denaro, i beni, o le altre utilità che la norma richiede non coincidono con il prodotto, profitto o il prezzo del reato, ma invece fanno riferimento ai proventi conseguiti dal loro impiego in attività economiche e finanziarie, ovvero imprenditoriali o speculative (Cass. n. 30401/2018).

Altresì, la Cassazione ha dichiarato che non si configuri il reato dell’articolo 348 ter c.p. qualora non sussista attività idonea ad occultare la provenienza delittuosa del denaro oggetto del profitto. Nel caso di specie, non costituiva delitto il versamento del profitto di furto su conto corrente intestato allo stesso autore del reato presupposto (Cass. n. 33074/2016).

La giurisprudenza si è anche interrogata su cosa possa definirsi ai sensi del reato “attività economica”. La risposta che è stata data prevede una nozione orientata su quanto già previsto dal codice civile, che però faccia riferimento non solo ad attività produttiva in senso stretto, ma che tenga conto anche di attività di scambio e distribuzione di beni nel mercato di consumo.

Con sentenza n. 38422 del 2018 la Cassazione ha altresì ammesso che l’attività prevista dall’articolo non debba ritenersi solo attività economica lecita, bensì che ai fini dell’applicazione della norma possa essere intesa anche attività illecita. La norma, infatti, ha come fine precipuo quello di sanzionare tutte quelle condotte, lecite o illecite, che ostacolino concretamente l’identificazione della provenienza delittuoso di denaro, beni o altre utilità.

Tale decisione allarga, dunque, l’ambito applicativo della norma, sulla scorta del fine precipuo attribuito al reato dell’art. 648 ter c.p., cioè quello di punire il riutilizzo delle utilità provenienti dal reato. È indifferente se tale riutilizzo sia lecito od illecito, sulla scorta anche del fatto che il colpevole mira a scambiare l’utilità prodotta al solo fine di averne un corrispettivo in denaro, da utilizzare in modo lecito o illecito.

Se tale decisione della Cassazione aiuta a colpire tutte le condotte criminose, e non punisce più solamente quelle di riutilizzo lecito dei proventi da reato, in realtà crea una violazione di quel principio penalistico che prende il nome di ne bid in idem sostanziale. L’estensione dell’applicazione del reato di cui articolo 648 ter c.p. anche alle attività illecite renderebbe l’agente colpevole sia dell’attività illecita sia del reimpiego delle utilità provenienti da delitto, e dunque ciò sarebbe in contrasto con il principio per cui non si può essere accusati di più reati per uno stesso fatto.

Si auspica, dunque, che la giurisprudenza continui la sua opera di esegesi, dando forma e confine al reato dell’articolo 648 ter c.p., onde evitare una sua applicazione sconfinata.

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