I CONIUGI SI SEPARANO: CHE FINE FANNO IL CANE E IL GATTO?



Sembra una faccenda di poco conto ma alle volte capita che i giudici si trovino anche a decidere dell’assegnazione degli animali domestici che convivevano con la coppia che si separa.


Non è una questione minore se si pensa che anche gli animali domestici incidono sul bilancio economico della famiglia e che questi alle volte diventano veri e propri compagni e punti di riferimento nella vita familiare.


Di recente, il Tribunale di Sciacca (decreto del 19 febbraio 2019) ha affermato che:

“in mancanza di accordi condivisi e sul presupposto che il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela, anche in relazione al benessere dell’animale stesso, assegna il gatto [omissis] al resistente che dalla sommaria istruttoria appare assicurante il miglior sviluppo possibile dell’identità ed il cane [omissis], indipendentemente dall’eventuale intestazione risultante nel microchip, ad entrambe le parti, a settimane alterne, con spese veterinarie e straordinarie al 50%”.


L’argomento giuridico sotteso a tale decisione è di particolare pregio.


Deve rilevarsi, innanzitutto, che in materia sussiste un vuoto legislativo, cioè non è presente alcuna disposizione legislativa sul tema. La questione viene allora risolta ricorrendo all’analogia, cioè a quel procedimento logico interpretativo per il quale ad una fattispecie non normata da alcuna legge si applicano le disposizioni previste per situazioni simili dove è riscontrabile una simile ratio (ragione giuridica).


Precedentemente, la giurisprudenza riteneva che gli animali domestici dovessero essere considerati come res (cose), e negava l’esistenza la meritevole za di tutela di un diritto della persona alla reazione con l’animale domestico.


Molti giudici per questo escludevano altresì una loro competenza a dover occuparsi delle questioni sull’assegnazione dell’animale domestico (Trib. di Milano, ordinanza del 2 marzo 2011). Alcuni giuristi ritengono addirittura improprio l’utilizzo del termine “assegnazione” con riguardo agli animali, poiché tale espressione viene utilizzata in tema di affidamento e collocazione dei figli. In tale modo, si equiparerebbero gli animali domestici ai figli, mettendoli sullo stesso piano.


Più recentemente, però, deve rilevarsi un’evoluzione degli orientamenti sul punto, dovuta probabilmente ad un crescente sentimento verso la protezione di tutti gli esseri viventi, in particolare alla tutela degli animali domestici.


In questo nuovo mutato sentimento sociale, veniva avanzata nel 2012 una proposta di legge con lo scopo, appunto, di regolamentare legislativamente la divisione degli animali domestici tra i coniugi al momento della loro separazione. Così la proposta legislativa proponeva che, in mancanza di accordo tra le parti, il Tribunale provvede a disporre “l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di garantire il maggior benessere”.


Questa proposta legislativa risente molto nel suo contenuto delle fonti normativi internazionali, che predispongono convenzioni e normative atte alla protezione degli animali da compagnia (ad es.: La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale, 26.01.1978, Bruxelles; Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, 13.11.1987, Strasburgo; art. 13 del Trattato di Lisbona del 13.12.2007).


Sebbene tale proposta (dal tenore letterale molto forte, dato l’utilizzo del termine “affido”) sia rimasta una semplice idea legislativa (ancora non diventata legge), la giurisprudenza ha iniziato a cambiare orientamento ed a pronunciarsi differentemente nelle sue decisioni.


L’animale non viene più considerato res, bensì “essere senziente” oppure addirittura “persona non umana”, attribuendo in tal modo un riconoscimento vero e proprio del diritto soggettivo della persona all’animale da compagnia. Tale diritto è considerato di derivazione costituzionale, in particolare dall’art. 2 (Cass. penale n. 21805; Trib. di Varese, decreto del 07.12.2011).


È, dunque, legittima facoltà dei coniugi quella di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento dello stesso (Trib. di Milano, 13.03.2013).


Il giudice potrà, allora, statuire nella separazione che l’animale d’affezione sia affidato al coniuge, ritenuto maggiormente idoneo ad assicurarne il miglior sviluppo possibile della sua identità, con l’obbligo di averne cura, predisponendo a favore dell’altro coniuge il diritto di tenerlo con sé e prenderlo per alcune ore al giorno.


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