Reato di molestie



È sempre bello ricevere delle rose o uscire per una cena romantica, soprattutto a San Valentino. 

Ma cosa succede quando il corteggiatore si rivela insistente, ossessivo e petulante? 

Ce lo dice la sentenza della Cassazione Penale, Sez. V, n. 7993 del 9 dicembre 2020, depositata il 1° marzo 2021. 

La vicenda è la seguente: la persona offesa lamentava che il condannato avesse intrapreso nei suoi confronti un corteggiamento petulante, sgradito e molesto, e che tale attività che si ripetesse in ogni luogo in cui la persona offesa lavorava (vari bar della zona). Il reo venne quindi condannato in primo grado dal Tribunale di Trieste a tre mesi di arresto per il reato di molestie (art. 660 c.p.), con sospensione di pena, purché, entro sei mesi dal passaggio in giudicato, il reo pagasse alla vittima la somma di euro 4.000 a titolo di risarcimento del danno. La Corte d’Appello confermava la condanna.

Ricordiamo che l’art. 660 c.p. descrive così il reato di molestie: “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516.”

Il condannato ricorreva in Cassazione, adducendo, fra i motivi del ricorso: 1) non potevano dirsi realizzati gli elementi tipici della fattispecie di reato prevista dall'art. 660 c.p; 2) non sussisteva il coefficiente psicologico del reato di molestie, che presuppone il dolo, il cui fine specifico è quello di recare disturbo dell'altrui tranquillità 3) data la non gravità della condotta, la sanzione era apparsa eccessiva, potendosi irrogare anche solo la pena pecuniaria dell'ammenda. 

La Cassazione ritiene infondati tutti i motivi: 

  1. L’atteggiamento tenuto dal reo è assimilabile a quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui, ai fini dell’integrazione del reato di molestie, “per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nell'altrui sfera di libertà. La pluralità di azioni di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato”. Nel caso di specie infatti, il condannato, che la vittima non conosceva prima della vicenda, si rivolgeva alla stessa con i saluti insistenti e confidenziali, con modalità invasive della sfera di riservatezza altrui (in un'occasione abbracciandola), altre volte con incontri non casuali e cercati nel bar dove lavorava la vittima (in cui l'imputato entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrare la persona offesa e tentare approcci con lei), come anche per strada, in un'occasione inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; addirittura con una sosta sotto la sua casa. A nulla è valso che la vittima manifestasse espressamente al ricorrente di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante ed ossessivo. La Corte inoltre ribadisce che non è rilevante che il molestatore si limiti a tenere una condotta solo verbale, e mai fisica o aggressiva; per integrare il reato di molestie è necessario realizzare un'effettiva e significativa intrusione nell'altrui sfera personale che assurga al rango di "molestia o disturbo" ingenerati dall'attività di comunicazione in sè considerata, ed anche a prescindere dal suo contenuto

Massima giurisprudenziale della Corte, di nostro concreto interesse, è questa: configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell'altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà.

  1. Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del dolo, la Corte ha ritenuto lo stesso sussistente nella condotta del reo, in quanto, pur avendo la vittima manifestatogli espressamente il suo diniego e il suo disagio in relazione ai suoi comportamenti, lo stesso ha perseverato negli stessi. Infatti ai fini della sussistenza del dolo, per la Corte deve sussistere “la coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza della oggettiva idoneità di quest'ultima a molestare o disturbare, senza valida ragione, il soggetto che la subisce”. 
  2. Infine, per la Corte di certo non potevano essere qualificate come poco gravi le condotte del reo: lo stesso infatti le ha reiterate per un anno e mezzo, sino a costringere la vittima a chiedere l’intervento dei Carabinieri, anche in assenza di condotte fisicamente aggressive. Quindi, visto il protrarsi della condotta lesiva e la manifesta insensibilità del reo all’esasperazione causata alla vittima, la Corte ha reputato proporzionata la pena detentiva comminata al reo.

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