Marchi e brevetti - contraffazione



Corte Costituzionale, sent. n. 46882 del 22.12.2021

Commercio di prodotti con segni falsi – art. 474 c.p.

Nel caso di introduzione nello Stato e vendita di prodotto riportanti segni falsi, ai fini dell’applicazione del reato ex art. 474 c.p., che punisce “chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati”, è indispensabile la previa acquisizione, tramite prova fornita dall’accusa, degli elementi attestanti la rinomanza del marchio e la sua riferibilità alla casa produttrice, che giustifichino la loro tutela, anche se si tratta di marchi di larghissimo uso e utilizzazione. Quindi, non sempre è possibile ricorrere contro coloro che importano e vendono merce contraffatta: bisogna dimostrare che siano registrati, anche se estremamente noti. 

Il fatto

Il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame della misura cautelare reale che prevedeva il sequestro dei capi di abbigliamento recanti marchi contraffatti appartenenti a H.J, il quale deteneva per la vendita merce recante marchi contraffatti, tra cui 960 magliette riproducenti la scritta "Richmond" e 480 felpe con la scritta "Minnie".

La difesa presentava ricorso per Cassazione, adducendo tale motivazione: la merce, contraddistinta dalle scritte "Minnie" e "Richmond", non godeva sul territorio italiano di alcuna protezione. Infatti, la parola "Minnie" risulta registrata quale marchio dalla Disney Enterprises Inc. esclusivamente in Francia, e in base al principio di territorialità, la validità e la tutela del marchio sono limitate allo Stato di registrazione. Analogamente, la dicitura "Richmond" è marchio registrato esclusivamente in Gran Bretagna e gode di protezione solo in detto Paese. Inoltre, affinché detti marchi possano godere di tutela nell’ordinamento italiano alla pari di uno registrato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, questo deve essere necessariamente registrato presso l’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale o, in ambito internazionale, presso l’Organizzazione Mondiale per la proprietà intellettuale. 

I marchi in questione non godevano quindi di questa protezione e per tale motivo, secondo la Corte, il Tribunale ha errato nel ritenere sussistente il fumus commissi delicti (ossia la probabile consumazione del delitto) ex art. 474 c.p. in capo all’imputato, presupposto per l’applicazione della misura cautelare, attribuendo allo stesso l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti per la loro protezione. 

La Corte ha ricordato la sua posizione sul punto, elaborata negli anni: 

  1. “poiché la tutela penale dei marchi o dei segni distintivi delle opere dell'ingegno o di prodotti industriali è finalizzata alla garanzia dell'interesse pubblico preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto inventore”
  2. “L’art. 474 c.3 , che dispone che i delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale, deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all'esito della prevista procedura, e tale aspetto deve essere provato, a mezzo di prova documentale dall’accusa. 

Inoltre, in tema di protezione di marchio vige il principio della territorialità, quindi la protezione è limitata al Paese di registrazione, salvo che si stratti di marchio europeo o internazionale. Il logo, segno distintivo o rappresentazione grafica che caratterizzi quel prodotto quale marchio deve essere preventivamente riconosciuto a livello nazionale, europeo o internazionale.

Ecco quindi che la Corte, nel caso di specie, ha ribadito che, come è onere dell’imputato provare l’insussistenza dei presupposti per la protezione del marchio, è parimenti onere di chi invece tale protezione invoca allegare l’acquisizione di elementi che attestino una rinomanza tale del marchio e una notoria riferibilità alla casa produttrice e alla tipologia di prodotti, e ciò deve avvenire a mezzo di elementi non presuntivi, ma affidabili, quali le prove documentali delle avvenute registrazioni presso gli Uffici competenti a livello nazionale, europeo o internazionale. Tale prova non può incombere in capo all’imputato, attesa la sua complessità. 

La Corte ha quindi annullato l’ordinanza che respingeva il riesame della misura cautelare, con rinvio al Tribunale competente per il nuovo esame; ha però concluso suggerendo che il sequestro probatorio possa essere legittimo “anche nell'ipotesi di configurabilità, sempre in astratto, di fattispecie criminosa diversa da quella indicata nel decreto di sequestro”, indicando, quale possibile ipotesi di reato alternativa l’art. 517 c.p., ossia la vendita di prodotti industriali con segni mendaci, che inducano in inganno il compratore sull’origine, qualità o provenienza dell’opera o prodotto. 

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