LAVORO NERO E SANZIONI



LAVORO NERO E SANZIONI

l lavoro irregolare (comunemente definito “lavoro in nero”) rappresenta storicamente un grosso problema per il nostro paese, dal punto di vista economico e sociale. 

Le statistiche parlano chiaro: secondo uno studio condotto da Confartigianato, il lavoro sommerso costituisce l’11,3 % del nostro PIL per un valore di 202,9 miliardi di euro, prodotto da 3,2 milioni di lavoratori senza un contratto regolare. Il fenomeno non sembra essere destinato a ridursi, con preoccupanti incrementi stagionali legati all’assunzione di individui durante il periodo estivo, soprattutto in località turistiche.

Spieghiamo quindi nel dettaglio quali sono le conseguenze legali a cui devono andare incontro lavoratori e datori di lavoro che utilizzano questo tipo di rapporto professionale.

Cosa rischia chi lavora (o fornisce lavoro) in nero?

Lavorare in nero pone degli importanti rischi per entrambi le parti coinvolte sotto diversi punti di vista. 

Lavoro in nero: cosa rischia il datore di lavoro

Ogni datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare la comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 9-bis del D.L. n. 510/1996, che deve essere comunicata entro il giorno prima dell’inizio effettivo del rapporto.

Nel caso in cui venga accertato che un imprenditore abbia stretto un rapporto di lavoro con un dipendente senza aver comunicato l’assunzione, il datore può ricevere una maxisanzione di diverse migliaia di euro.

Nello specifico, l’importo della sanzione è:

  • tra 1.800€ e 10.800€ per ogni lavoratore irregolare, nel caso in cui il rapporto lavorativo sia iniziato da meno di 30 giorni;
  • tra 3.600€ a 21.600€ per ogni lavoratore irregolare, nel caso in cui il rapporto di lavoro irregolare sia iniziato da 31 a 60 giorni;
  • tra 7.200€ e 43.200€ per ogni lavoratore irregolare, nel caso in cui il rapporto di lavoro sia iniziato da più di 61 giorni.

L’importo della sanzione aumenta inoltre del 20% nel caso in cui il lavoratore sia:

  • straniero (art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998);
  • minore in età non lavorativa (che non può far valere 10 anni di scuola dell’obbligo e/o 16 anni);

percettore del reddito di cittadinanza (D.L. n. 4/2019).

Nel 2019, il Governo ha inoltre deciso di penalizzare ulteriormente gli imprenditori già colpevoli di questo reato, portando l’aumento della sanzione dal 20% al 40% nel caso in cui il datore sia già stato destinatario di sanzioni amministrative o penali negli ultimi 3 anni. L’unico caso in cui la maxisanzione non è applicabile riguarda il settore domestico.

Oltre alle salatissime sanzioni previste, il datore di lavoro dovrà inoltre versare i contributi non corrisposti e pagare le sanzioni relative anche a questo tipo di reato.

Nel caso in cui la percentuale di lavoratori irregolari superi il 10%, l’Ispettorato del Lavoro ha infine diritto ad applicare una sospensione della parte di attività imprenditoriale interessata. Durante questo periodo di sospensione è anche vietato contrarre appalti di ogni tipo con la Pubblica Amministrazione e le altre stazioni appaltanti.

Tuttavia, è prevista una sorta di ravvedimento operoso, nel caso in cui il datore di lavoro inquadri un dipendente in nero, con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, entro 120 giorni dall’inizio dell’attività subordinata. In questa circostanza si ridurranno al minimo le sanzioni.

Lavoro in nero: cosa rischia il lavoratore

Anche il lavoratore è soggetto a rischi di diversa entità, legati all’assenza di un contratto regolare o a eventuali sussidi ricevuti durante il rapporto di lavoro irregolare.

Oltre a una serie di conseguenze legate al mancato versamento dei contributi previdenziali, un dipendente in nero può essere soggetto a multe piuttosto salate nel caso in cui percepisca contributi di qualsiasi tipo mentre svolge attività lavorative non contrattualizzate.

In primis, dichiarare di essere disoccupato per percepire la NASpI rappresenta un reato di falso ideologico commessa dal privato in atto pubblico ( ex art 483 c.p.), che prevede un periodo di reclusione fino a 2 anni. 

Se il lavoratore, oltre a dichiarare il falso, percepisce la NASPI ed effettua prestazione di lavoro in nero, si configura inoltre il reato penale di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ( art. 316 ter.), con la reclusione da 6 a 12 mesi. In caso di somma inferiore ai 4.000€, la pena si trasforma in una multa con un minimo di 5.164€ e un massimo di 25.822€.

La reclusione è prevista anche nel caso in cui il dipendente irregolare fornisca dichiarazioni non vere e/o documenti falsi per ottenere il Reddito di Cittadinanza. In questo caso, la pena detentiva è compresa tra i 2 ed i 6 anni. Se invece il lavoratore non informa le autorità competenti di variazioni di reddito o di circostanze che porterebbero alla revoca o alla riduzione del RdC, il periodo di reclusione previsto è da 1 a 3 anni.

In tutti i casi in cui il lavoratore abbia percepito dei sussidi è ovviamente previsto il rimborso degli importi ottenuti.

Ovviamente, in queste situazioni è consigliabile rivolgersi ad uno studio legale o a dei consulenti del lavoro specializzati, in modo da poter ottenere dei pareri esperti in merito e procedere con le dovute accortezze.

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