In caso di parto anonimo



Ordinanza della Cassazione n. 22497 del 9 agosto 2021: in caso di parto anonimo, il figlio deve vedersi comunque riconosciuto il suo diritto di accesso ai dati sanitari della madre

Ciò è quanto stabilito da questa importante ordinanza della Cassazione del 9 agosto 2021. Vediamo insieme la vicenda. 

Parte attrice, denominata nel testo dell’ordinanza “P.”, era stata partorita negli anni ’60 da madre rimasta anonima, venendo poi adottata. Dopo circa 50 anni, aveva adito Tribunale di Trieste per attivare il procedimento di “accesso alle origini”, di cui all’art. 28 c. 5 L. n. 184 del 1983, con addenda della sentenza della Corte Costituzionale n. 278 del 2013, che permette di formulare un interpello riservato alla madre per chiederle di rimuovere l’anonimato. Tale richiesta era stata respinta dal Tribunale di Trieste: parte attrice, impugnato il decreto di diniego davanti alla Corte d’Appello, vedeva rigettare le sue istanze anche in tale sede, in quanto: 

  • La madre, all’epoca ultratrentenne, aveva manifestato chiaramente il proprio intento di rimanere anonima, e nei successivi 50 anni non aveva mai ricercato la figlia 
  • Le attività di ricerca dei Carabinieri, su delega del Tribunale dei minorenni, avevano accertato che la stessa ha oggi una veneranda età e con un deficitario stato di salute, anche psichico; ella è fortemente vulnerabile ed è assistita dai familiari, essendo stata dichiarata incapace, pur in assenza di nomina di tutore o amministratore di sostegno.

Per la corte d’appello doveva quindi essere confermata la statuizione dei giudici di primo grado, in quanto la madre era incapace di esprimere un consenso circa la possibilità di rivelare la propria identità alla figlia e rimuovere così l’anonimato.

Parte attrice ricorreva quindi alla Cassazione contro il decreto della corte di secondo grado, adducendo 8 motivi di ricorso straordinario ex art. 111 c.7 Cost. La Corte, dopo un’accurata ricostruzione normativa, rigetta il ricorso per i primi 6 motivi, facendo salvi gli ultimi 2. 

Le ricostruzioni della Corte sono le seguenti: 

Il diritto di conoscere le proprie radici è previsto da fonti sovranazionali e nazionali: 

  • la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata con legge 176/1991, articoli 7 e 8;
  • la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 1993, ratificata con legge 476/1998, articolo 30.
  • la legge 184/1983 all’art. 28 prevede il divieto di menzionare l’adozione nelle attestazioni dello stato civile; inoltre, dispone il diritto dell’adottato di accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici presentando un’istanza al Tribunale dei minorenni, una volta raggiunti i 25 anni o, raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica (art. 28 c. 5.).

L’art. 28 c. 7 legge 184/1983, come modificato dall’art. 177 c. 2 Codice della Privacy, disponeva il divieto di attivare la procedura del quinto comma nel caso in cui i genitori avessero esplicitamente richiesto l’anonimato. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza 278 del 2013, con la quale ha affermato che il figlio può chiedere al giudice di interpellare la madre, ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato fatta a suo tempo, “attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza”. Tale procedimento è attivabile presso la volontaria giurisdizione, che aprirà un fascicolo secretato: rintracciata la madre, essa verrà invitata a presentarsi davanti al giudice, che le rivelerà le intenzioni del figlio di conoscere la sua identità. Se ella accetterà, il giudice redigerà verbale sottoscritto dalla stessa e rivelerà il nome al figlio ricorrente, altrimenti, verrà darà notizia scritta del diniego al Tribunale 

La madre ha in ogni caso il diritto all’anonimato: in tal caso, al momento del parto, l’attestazione di avvenuta nascita è resa da uno dei genitori, dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che vi ha assistito, rispettando la volontà della madre di non essere nominata. Inoltre, il Codice della Privacy, all’art. 93, prevede che la cartella clinica ove siano contenuti i dati sensibili della madre possa essere rilasciata in copia integrale a chi vi abbia interesse decorsi cento anni dalla formazione del documento; se richiesto prima, la cartella deve garantire l’anonimato

La sentenza della Corte di Strasburgo Godelli c. Italia 25.09.2012 stabilisce il contrasto della normativa nazionale con l’art. 8 CEDU che prevede “il rispetto della vita privata e familiare”, anche inteso come possibilità di conoscere le proprie origini. 

Muovendo da questa sentenza, la Corte Costituzionale è intervenuta con la sentenza n. 178 del 2013, pronuncia che, ad avviso di chi scrive, ha ispirato la Cassazione in questa vicenda: la Corte ha sancito che il diritto all’identità personale è un diritto fondamentale dell’essere umano, che può essere correlato con la necessità di tutelare la salute del richiedente, in quanto deve essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle più moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico”. 

Nel caso di specie quindi, la Cassazione ha dichiarato che fosse necessario operare un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza della madre in caso di parto anonimo e il diritto a conoscere le proprie origini: ecco perché l’ordinanza ha accolto solo la settima e ottava motivazione al ricorso, che facevano riferimento specifico a questo aspetto, affermando il diritto, per la figlia ricorrente, di poter accedere ai dati sanitari della madre. “La domanda di accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all'eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili, è ulteriore e distinta rispetto a quella di puro accesso alle origini, avendo come finalità la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente. Il diritto va garantito, con modalità tali, però, da tutelare l'anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio e potranno essere desunte dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 93, Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui, ai sensi del comma 3, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto (ora "attestazione di avvenuta nascita") o alla cartella clinica della partoriente può essere accolta relativamente ai soli dati sanitari, non identificativi, relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata "osservando le opportune cautele per evitare che quest'ultima sia identificabile””.

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