Il reato di truffa



IL REATO DI TRUFFA: Cass. Sez. settima penale, ord.n. 33299 del 18 luglio 2018

Continuiamo i nostri approfondimenti esaminando il reato di truffa.

L’art. 640 c.p. offre questa definizione: “1c. Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

2c. La pena e della reclusione da uno a 5 anni e della multa da euro 309 a euro 1549: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico o dell'unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare […].

3c. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista all'articolo 61 primo comma numero7.”.

Tratteggiando sinteticamente gli elementi essenziali che connotano il reato di truffa, possiamo fornire le seguenti definizioni:

  • per artificio si intende il mezzo attraverso il quale si fa apparire per vera una situazione che in realtà non è , camuffando la realtà esterna;
  • per raggiro invece si intende il comportamento di chi afferma il falso in modo da convincere un altra persona circa un fatto o una situazione non veritiera.

Scopo di questi comportamenti è quello di indurre in errore la persona offesa, per conseguire un ingiusto profitto danneggiando quest’ultima. Il danno deve sempre avere natura patrimoniale, deve essere concreto, mentre il profitto può essere di carattere economico o morale.  

Veniamo ora all’analisi di un caso pratico, deciso dall’ordinanza n.33299 del 18 luglio 2018 dalla Settima Cassazione Penale.

Un autotrasportatore era solito transitare in autostrada lungo il varco riservato ai clienti VIACARD  (TELEPASS), senza esserne abilitato: alla cassa, si faceva rilasciare dall’operatore il biglietto di mancato pagamento adducendo di aver sbagliato corsia o di aver scordato il titolo di pagamento, potendo così uscire senza pagare. La difesa indicava come motivi di ricorso l’erronea qualificazione giuridica effettuata dai giudici di primo e secondo grado e sosteneva che dovesse applicarsi l’art. 176 codice della strada, ovvero l’art. 641 c.p. (insolvenza fraudolenta).

La Cassazione non accoglieva detti motivi di ricorso per i seguenti motivi:

  1. per integrarsi il reato di insolvenza fraudolenta, era necessario provare lo stato di insolvenza, e conseguente incapacità economica, della ditta presso cui era assunto il trasportatore. Infatti l’insolvenza fraudolenta è caratterizzata si da una condotta atta a dissimulare l’esistenza di un’insolvenza per evitare un pagamento dovuto, e perciò deve necessariamente sussistere la  situazione di incapacità economica che muove tale comportamenti. Qui invece l’azienda in questione era capiente, quindi la condotta non può integrare quella descritta dall’art. 641 c.p.
  2. I comportamenti posti in essere dall’autotrasportatore sono dei veri e propri raggiri: “l'imputato ogniqualvolta passava per le corsie riservate ai clienti Viacard, spingendo il pulsante per mettersi in contatto con gli operatori, dichiarava sistematicamente di essere sprovvisto del titolo di pagamento, così determinando l'operatore ad emettere il biglietto di mancato pagamento che gli consentiva di guadagnare l'uscita.”. Questa condotta posta in essere dall’autotrasportatore integrava senz’altro un raggiro, grazie al quale egli induceva “in errore la Società Autostrade per il tramite del suo operatore, così ottenendo la prestazione patrimoniale altrimenti non dovuta”, ossia il transito gratuito.

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