DELITTO DI ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI E DELITTO DI ESTORSIONE: LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE



La Cassazione a Sezioni Unite ha risposto all’ordinanza di rimessione con la sentenza n. 29541/2020.

In primo luogo, secondo le Sezioni Unite i due delitti si differenziano sotto il profilo dell’elemento psicologico.

Il delitto di ragion fattasi mira ad ottenere una prestazione dovuta (proprio diritto) e, dunque, è finalizzato a realizzare una pretesa giuridicamente azionabile. Il soggetto agente, in questo caso, intende conseguire un profitto giusto, nella condizione ragionevole di esercitare un diritto o una pretesa legittima, tanto da poter essere oggetto di un’azione giudiziaria.

Il delitto di estorsione, invece, il reo compie un’azione violenta o minaccio di coazione nei confronti della vittima e diretta a conseguire un profitto ingiusto. Si ha, in questo caso, una compressione della volontà della vittima da parte dell’agente che intende perseguire un profitto che sa essere ingiusto e non dovuto.


Con riferimento alla seconda questione, il delitto di ragion fattasi è un delitto proprio ma non di mano propria.

Il delitto è proprio poiché può essere commesso solo da vanta un diritto o una legittima pretesa. Solo il titolare di un interesse giuridicamente tutelato può porre in essere il delitto.

Non si tratta, tuttavia, di un delitto di mano propria.

Pertanto, il delitto di ragion fattasi può anche essere commesso da un terzo, cioè da un soggetto che agisce per conto del titolare della pretesa giuridica ma che non è il legittimato ad azionarla in giudizio.


La Corte di Cassazione a Sezioni Unite richiede, però, che il terzo agisca al solo scopo di ottenere la legittima pretesa del creditore, senza perseguire scopi ulteriori.

Dunque, il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può anche essere commesso da soggetti terzi che, non essendo titolare del diritto giudizialmente azionabile, agiscano per conto del creditore legittimato, al fine di ottenere solo e soltanto la pretesa azionabile in giudizio.


La pronuncia delle Sezioni Unite ha, dunque, un grande impatto nella quotidianità, perché permette di condannare ai sensi dell’art. 393 c.p. anche colui che minaccia e usa violenza in nome del mandante.

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