PUÒ INTEGRARE REATO DI MOLESTIA O DISTURBO ANCHE L’INVIO DI RIPETUTI SMS? LA CASSAZIONE DICE NO



Il codice penale, all’articolo 660, punisce chiunque rechi molestia o disturbo, per petulanza o altro biasimevole motivo, in luogo pubblico, aperto al pubblico oppure con il mezzo del telefono.


La norma è chiara ma i giudici si sono sempre interrogati sulla portata della norma nella realtà concreta. Di recente una nuova sentenza (Cass. n. 18216/2019) ne ha nuovamente mutato l’applicabilità, in considerazione dell’evoluzione dei costumi sociali e, quindi, della velocità e dei frequenti rapporti che due soggetti possono intrattenere mediante l’uso del telefono, anche con l’avvento dei nuovi sistemi di messaggistica istantanea.


Prima della decisione del 2 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha avuto più motivi su cui esprimersi in merito alla disposizione.


Già dai primi anni 2000 la Corte affermava che il reato di cui all’art. 660 c.p. fosse andato in disuso. Questo in quanto la norma era nata prima della metà del 1900 e teneva in considerazione l’uso del mezzo telefonico solo al fine di effettuare chiamate, non ricomprendeva invece i messaggi. 

La condotta di molestia o disturbo a mezzo messaggio SMS non configurerebbe, dunque, reato ai sensi dell’art. 660 c,.p., bensì potrebbe configurare quello di ingiuria qualora ne sussistano i presupposti richiesti (Cass. n. 18449/2005).


Successivamente, la Cassazione ha statuito contrariamente ritenendo che anche l’SMS può essere forma di disturbo alla tranquillità privata, quando siano continui ed insistenti. Questo tipo di messaggi non possono essere assimilati alle lettere cartacee (come diversamente sosteneva la precedente giurisprudenza affermando la sussistenza dell’ingiuria), poiché il destinatario è costretto a subirli e percepirli, anche prima di poterne individuare il mittente (Cass. n. 10983/2011).


Al fine di integrare reato è però necessario che le molestie siano accompagnate dall’elemento della petulanza, tale da arrecare disturbo alla quiete privata della persona offesa (Cass. n. 26776/2016).


Quest’orientamento è stato poi ulteriormente ampliato da alcune pronunce nel 2014 anche alle piattaforme virtuali dei social network, perché configurano la parte della norma che fa riferimento al “luogo pubblico o aperto al pubblico”. La piattaforma virtuale può essere considerata un luogo pubblico o comunque aperto al pubblico essendo suscettibile di fruizione da una molteplicità indeterminata di soggetti (Cass. n. 37596/2014).


Sempre sulla questione della petulanza o del biasimevole motivo tale da recare molestia alla quiete della persona offesa si è espressa anche la Cassazione del 2 maggio 2019. Secondo la Cassazione è assente la volontà di arrecare disturbo alla tranquillità altrui nel caso in cui l’agente abbia inviato 15 messaggi in soli due mesi. La sentenza motiva sul punto ritenendo che le abitudini di relazioni virtuali, anche tramite messaggio, sono mutate e che l’invio di 15 SMS in due mesi non può essere ritenuto integrare una condotta petulante.


La persona offesa non aveva nemmeno attivato il blocco messaggi contro tale soggetto, ciò a riprova del carattere non dannoso della condotta dell’agente.


La Cassazione afferma, in buona sostanza, che la condotta per integrare il reato dell’art. 660 c.p. deve essere incivile, intollerabile, arrogante e vessatoria tale da compromettere la libertà e la tranquillità altrui.


Ad ogni modo, si ricorda che ogni caso è diverso e che ogni fattispecie ha bisogno di essere analizzata in tutte le sue peculiarità per valutarne ogni possibile aspetto.

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