IL TESTIMONE NEL PROCESSO CIVILE



La testimonianza è differente se viene resa nel procedimento civile o in quello penale.


La testimonianza può essere resa da soggetti comuni e, quindi, tutti potrebbero prima o poi essere chiamati ad assumere questo ufficio.


Nel procedimento civile, la testimonianza è ammessa nella maggioranza dei casi.


In linea generale, si esclude che si possa utilizzare questo mezzo di prova quando si intenda provare un contratto reso per iscritto, il quale dovrà, per l’appunto, derivare da prova scritta documentale. Eccezione a questa regola, viene fatta nel caso in cui il contraente abbia senza sua colpa perso la prova scritta del documento probatorio.


L’indicazione dei mezzi di prova viene fatta dal difensore nella sua cd. seconda memoria (art. 183, co. 6, n. 3 c.c.), ove dovranno essere indicate specificatamente le persone che si chiede vengano sentite e le domande che devono essere poste loro da parte del giudice.


È, dunque, il difensore che prepara le domande che il giudice dovrà porre ai testimoni, ognuna preceduta dalla formulazione “vero che”.


Indicati i mezzi di prova, il giudice deciderà se ammetterli o meno, tutti o in parte. Il giudice emetterà ordinanza di ammissione delle prove, fissando l’udienza ove i mezzi ammessi si assumeranno. 


I testimoni saranno intimati a presentarsi proprio in quella data.


Il testimone, dunque, esaminato dal giudice, prima di procedere a rispondere alle domande, dovrà prestare giuramento, cioè dovrà dichiararsi consapevole dell’ufficio che sta assumendo, impegnandosi a dire quanto sa, in modo veritiero, senza reticenze.


In alcuni casi particolari, sussiste divieto di testimoniare oppure facoltà di astensione dalla testimonianza.


È fatto divieto di testimoniare alle persone vicine ad una delle parti in causa, perché legate da rapporti di coniugio (ancorché separati) o di parentela.


Questa presunzione di inattendibilità disposta dal codice civile (art. 247 c.c.) è venuta meno con sentenza della Corte Costituzionale e con successive pronunce della Corte di Cassazione. L’attendibilità e la credibilità di questi testi legati da rapporti di coniugio o parentela deve, ad oggi, essere valutata secondo le regole ordinarie.


Hanno, invece, facoltà di astenersi dal rendere testimonianza i soggetti tenuti segreto professionale (ad es.: ministri del culto, avvocati, notai e personale medico-sanitario), nonché in alcune circostanze i pubblici ufficiali o i pubblici ufficiali a conoscenza di fatti che non possono rivelare o che devono rimanere segreti.


Tutti gli altri soggetti chiamati a testimoniare dovranno, dunque, presentarsi e riferire il vero o almeno quanto sanno.


Qualora il testimone si presenti ma si rifiuti di rispondere oppure si sospetti abbia detto il falso o non detto quanto sapeva, il giudice potrà trasmettere il verbale al pubblico ministero.


Questo comportamento potrebbe, infatti, integrare gli stremi dei delitti di rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.) ovvero di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) oppure in altri reati che si intendono integrati.


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